Effetti antitumorali dei cannabinoidi: la cellula tumorale e il suo ambiente

A cura di Manuel Guzmán

Manuel Guzmán è professore di biochimica e biologia molecolare presso l'Università Complutense di Madrid, membro dell'Accademia Reale di Farmacia di Spagna, e membro del Consiglio di Amministrazione dell'International Association for Cannabinoid Medicines. La sua ricerca si concentra sullo studio del meccanismo di azione e delle proprietà terapeutiche dei cannabinoidi, soprattutto nel sistema nervoso. Questo lavoro ha dato come risultato oltre cento pubblicazioni in riviste specializzate internazionali, nonché numerosi brevetti internazionali sulla possibile applicazione del cannabinoidi come medicinali antitumorali e neuroprotettivi. Collabora regolarmente con agenzie di revisione scientifica ed enti finanziatori.

Negli ultimi decenni si sono accumulati un gran numero di studi che dimostrano che i cannabinoidi (e in particolare il principale componente attivo della cannabis, il Δ9-tetraidrocannabinolo o THC) esercitano effetti antitumorali in modelli di cancro nei topi e nei ratti. È ormai assodato che la somministrazione di cannabinoidi a questi animali può ridurre la crescita di diversi tipi di cellule tumorali, tra cui quelle cerebrali, cutanee, polmonari, mammarie, pancreatiche, epatiche, prostatiche e così via.

Questa ricerca ha anche permesso di capire i meccanismi attraverso cui i cannabinoidi mediano i loro effetti antitumorali utilizzando i recettori CB1 e CB2 situati sulla superficie delle cellule tumorali. Ad esempio, i cannabinoidi sono in grado di (a) inibire la proliferazione, (b) causare la morte e (c) prevenire la migrazione e l'invasione delle cellule tumorali. Questi effetti per così dire "classici" dell'azione antitumorale dei cannabinoidi sono già stati riportati in diversi articoli pubblicati sul sito web della Fundación CANNA sia da me che da vari colleghi (Guillermo Velasco, Cristina Sánchez, Mariano García de Palau, Saoirse O'Sullivan e Mike Tagen - mi scuso se ho dimenticato qualcuno). Poiché questi effetti sono stati osservati non solo negli animali da esperimento, ma anche in cellule tumorali coltivate isolatamente in capsule di Petri, si presume che i cannabinoidi esercitino questi effetti direttamente sulle cellule tumorali. O, per usare il gergo della biologia cellulare, sono "autonomi" dalle cellule tumorali.

Tuttavia, è ovvio che le cellule tumorali non sono isolate, e che stabiliscono connessioni sia fisiche che chimiche con altre cellule vicine, come quelle della matrice extracellulare (fibroblasti), quelle del sistema immunitario (leucociti come i linfociti T e i macrofagi) e quelle dei vasi sanguigni (miociti della parete muscolare e cellule endoteliali della superficie interna dei vasi). In effetti, i meccanismi con cui queste cellule non tumorali possono modificare indirettamente la crescita delle cellule tumorali sono sempre più conosciuti; su questa base sono state progettate terapie (in particolare l'immunoterapia) per prevenire la crescita del tumore colpendo cellule non tumorali. In questo caso, seguendo il gergo di cui sopra, si parla di processi "non autonomi" dalle cellule tumorali. Per quanto riguarda i cannabinoidi, si sa molto poco sui loro effetti antitumorali "non autonomi", cioè su come influenzano la comunicazione tra cellule tumorali e non tumorali.

Concentriamoci sul cervello, l'organo in cui l'azione antitumorale dei cannabinoidi è stata maggiormente studiata. Il nostro gruppo ha dimostrato da tempo che i cannabinoidi possono contribuire a bloccare la crescita dei tumori cerebrali nei topi inibendo l'angiogenesi, il processo attraverso il quale il tumore riesce a generare una propria rete di vasi sanguigni in modo da ottenere più facilmente le sostanze nutritive e l'ossigeno di cui ha bisogno per crescere nonché espellere i prodotti di scarto derivanti dal suo elevato tasso metabolico. In particolare, questi studi hanno dimostrato che i cannabinoidi inibiscono la produzione di una delle principali proteine coinvolte nell'angiogenesi tumorale (il fattore di crescita endoteliale vascolare, o VEGF), portando a una riduzione del numero e delle dimensioni dei vasi tumorali. Tuttavia, finora non si sapeva se i cannabinoidi nel cervello influenzassero l'interazione delle cellule tumorali con le principali cellule non tumorali, cioè i neuroni. Questo aspetto è stato al centro di un recente studio* che il nostro gruppo ha condotto con la generosa sponsorizzazione della Fundación CANNA e che riassumo qui di seguito.

Per cercare di rispondere a questa domanda, abbiamo utilizzato come modello sperimentale il melanoma, un tumore che colpisce principalmente le cellule pigmentate della pelle (melanociti) ed è uno dei tipi di cancro più maligni, soprattutto per la sua elevata capacità di metastatizzare in vari organi, compreso il cervello. In particolare, si stima che oltre il 90% dei pazienti con metastasi cerebrali da melanoma abbia un'aspettativa di vita sotto i 3 anni dalla diagnosi. La comprensione dei meccanismi molecolari che controllano le metastasi cerebrali del melanoma è quindi di fondamentale importanza per la progettazione di nuove terapie mirate per questa terribile malattia. Da un punto di vista biochimico, la nostra attenzione si è concentrata sul glutammato, il principale neurotrasmettitore eccitatorio prodotto dal nostro cervello, poiché è già stato dimostrato che questa molecola può interagire con alcune cellule tumorali e facilitarne la proliferazione.

In primo luogo, abbiamo eseguito studi computazionali (in silico) su database pubblici contenenti informazioni molecolari su migliaia di biopsie di pazienti oncologici. In particolare, analizzando i dati relativi ai campioni di melanoma, abbiamo osservato che essi contenevano livelli anormalmente elevati di recettori per il glutammato, che evidentemente consentono alle cellule di melanoma di riconoscere e se necessario reagire al glutammato.

In secondo luogo, abbiamo intrapreso studi con cellule di melanoma isolate e coltivate in capsule di Petri (studi in vitro). Utilizzando specifiche molecole per bloccare l'azione dei recettori del glutammato (e in particolare di un sottotipo specifico, i cosiddetti "recettori NMDA"), abbiamo effettivamente visto che la proliferazione delle cellule di melanoma veniva impedita.

In terzo luogo, abbiamo condotto studi su topi con metastasi di melanoma nel cervello (studi in vivo). Si sa che il recettore cannabinoide CB1 situato sui neuroni che sintetizzano il glutammato (i cosiddetti "neuroni glutammatergici") previente il rilascio di glutammato nell'ambiente extracellulare. Ebbene, abbiamo osservato che questo recettore CB1 presente nei neuroni glutammatergici bloccava l'accesso al glutammato delle metastasi di melanoma vicine, impedendone la proliferazione. Come controllo della specificità di questo effetto, abbiamo dimostrato che il recettore CB1 situato su neuroni diversi, non glutammatergici, non influisce sulla proliferazione delle metastasi cerebrali di melanoma.

In sintesi, questo lavoro rafforza l'idea che gli effetti antitumorali dei cannabinoidi nel cervello non siano dovuti solo ad azioni dirette ("autonome") sulle cellule tumorali, ma anche ad azioni indirette ("non autonome") esercitate su altri tipi di cellule (in questo caso, i neuroni glutammatergici).

Più in generale, lo studio rivela un nuovo meccanismo molecolare coinvolto nella crescita delle metastasi cerebrali del melanoma, che potrebbe forse contribuire alla progettazione di terapie antineoplastiche basate sull'inibizione dell'azione del glutammato.

*Articolo originale:

Costas-Insua, C., Seijo-Vila, M., Blázquez, C., Blasco-Benito, S., Rodríguez-Baena, F.J, Marsicano, G., Pérez-Gómez, E., Sánchez, C., Sánchez-Laorden, B. & Guzmán, M. (2023) Neuronal cannabinoid CB1 receptors suppress the growth of melanoma brain metastases by inhibiting glutamatergic signalling. Cancers 15, 2439.

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